Mentre il pubblico affolla lentamente l’Hudson Theatre, Tom Sturridge si aggira sul palco con una pinta di vetro e si siede su alcune scale di mattoni rossi, trasandato e provato nei suoi pantaloni neri da ginnastica.
Questo velo di tristezza sul suo viso, però, scompare nel momento in cui lo spettacolo vero e proprio ha inizio.
Ora siamo di fronte a un dolce padre londinese che si gode la felicità della vita, accanto alla moglie Helen e alla loro piccola Lucy; ma sappiamo che qualcosa di tragico è in procinto di accadere. In Sea Wall, Sturridge è Alex, un fotografo trentunenne la cui vita ha appena acquistato un equilibrio grazie a una moglie che adora e a una figlia di cui prendersi cura. Sea wall… un muro marino che trascina con sé anche la felicità di Alex; ma che non può non costringerci a fermarci e, ancora una volta, a ricordare di quanto siano precarie la vita e la felicità.
Il problema della presenza di Dio, è il tema di fondo di questo monologo scritto da Simon Stephens. Alex inizia a cercare un responsabile; ma l’unico nome a cui può fare appello è Dio. Il monologo che nasce da questa consapevolezza è straziante. Il pathos cresce lentamente, fino all’esplosione di dolore dettato dalla consapevolezza di Alex che nulla possiamo contro il fato e che non troveremo mai risposta alla domanda: “Perché Dio è assente nel momento in cui abbiamo più bisogno di lui?”
L’assenza di Dio diventa cruciale anche nel secondo monologo, A Life di Nick Payne. Jake Gyllenhall è Abe. Ancora una volta siamo di fronte a un neo papà e marito felice che mentre dà il benvenuto a una nuova vita deve dire addio a un’altra… quella di suo padre. In A Life, però, invece di sfogare lo straziante dolore come Alex in Sea Wall, Abe è un topo in gabbia che continua a chiedersi come sarebbero andate le cose se avesse detto quello, o quell’altro, o quell’altro ancora. Abe si chiede perché ci prepariamo con tanta accuratezza ed entusiasmo ad una nascita e con spaventosa superficialità alla morte. A Life è la dimostrazione che il fallimento della comunicazione umana è la maggior fonte di infelicità odierna. Trattandosi di un’opera autobiografica, scritta da un Payne probabilmente ancora in fase di elaborazione del dolore, l’autore è ancora troppo provato per scavare a fondo e arrivare alla completa esternazione del dolore.
Nonostante siano stati scritti in modo del tutto indipendente, i due testi interagiscono perfettamente donando sinergia allo spettacolo. Sea Wall/A Life ci rende partecipi di un viaggio tragicomico sull’amore e sulla perdita dello stesso.
La scenografia è essenziale: un pianoforte, due pareti di mattoni e un faro. Perfetta nella sua estrema semplicità. L’ottima regia di Carrie Cracknell è quasi impercettibile.
Tom Sturridge e Jake Gyllenhall sono superbi. Le loro performance sono strazianti e superlative. Rare prove attoriali che sfiorano la perfezione, capaci di toccare e trasformare nel profondo l’animo di ogni singolo spettatore. La loro interpretazione ci trascina, parola dopo parola, nel buco nero che il dolore può aprire nel cuore di una persona. Impossibile lasciare l’Hudson Theatre come lo si è varcato entrando; se non ne siete sicuri, provate a fare come abbiamo fatto noi: scattatevi una foto davanti al muro di polaroid prima dello spettacolo e ripetete l’operazione all’uscita. Possiamo assicurarvi che, il giorno dopo, osservando i due scatti, vi accorgete da soli che, in realtà, state guardando due persone con uno sguardo completamente diverso; perché le loro storie, sono solo due tra le nostre storie.
“Esistono tre tipi di morte: quella fisica, quando il cuore si ferma; quella emotiva, durante il funerale; e quella eterna, quando il nostro nome viene pronunciato, ad alta voce, un’ultima volta, sulla terra.”
In scena all’Hudson Theatre di New York fino al 29 settembre 2019