Scusate se esisto: incontro londinese con Paola Cortellesi e Riccardo Milani

Domenica 31 maggio, Cinema Italia Uk, ha avuto l’onore di regalare al pubblico Londinese, italiano e non, la piacevolissima e al quanto attuale commedia Scusate se esisto.

La pellicola del 2014, diretta da Riccardo Milani (Auguri Professore, Piano Solo, Rebecca-La prima moglie, Atelier Fontana) vede come protagonisti una, come sempre magnifica Paola Cortellesi (David di Donatello 2011 per Nessuno mi può giudicare) e, al suo fianco, l’attore italiano Raoul Bova (Avenging Angelo, Under the Tuscan Sun, The Tourist, The Company, Alien vs Predator).

Serena Bruno è una brillante donna in carriera. Lavora a Londra come architetto, parla cinque lingue, ha conseguito, dopo una laurea a pieni voti, diversi master all’astero,… Alla fine di un importante progetto per lo studio londinese per cui lavora, prende la folle decisione di ritornare in Italia. Il silenzio imbarazzante dei colleghi all’annuncio di questa sua volontà, descrive in maniera esemplare il grado di pazzia con cui un tale desiderio viene considerato. Ed è con questo viaggio controcorrente, senza mai perdere la leggerezza necessaria nell’affrontare con serenità argomenti difficili, che Riccardo Milani affronta alcune delle tematiche più scottanti del Bel Paese (ma, come Meryl Streep, Patricia Arquette e Miranda Richardson hanno dimostrato quest’anno, non solo dell’Italia). In Scusate se esisto troviamo la difficoltà che una donna incontra nel trovare un buon posto di lavoro nel suo ambito di conoscenza (tutti danno per scontato che lei sia la segretaria dell’architetto Bruno Serena, a nessuno passa per l’anticamera del cervello che si possa trattare dell’architetto Serena Bruno e, la protagonista, capirà ben presto che fingersi la segretaria di se stessa, di un fantomatico architetto Bruno Serena, potrebbe essere l’unica possibilità per portare avanti il suo progetto edilizio). Questo sicuramente l’aspetto più ampio; ma, come anticipato, non l’unico: la difficoltà nel mantenere il proprio posto di lavoro in caso di omosessualità o di gravidanza, assieme alla denuncia di degrado di alcune zone periferiche della capitale, fanno da cornice a questo quadro.                                                             Partendo dalle testimonianze di chi ha deciso di ritornare in Italia; ma soprattutto da un fantastico progetto di riqualificazione urbana approvata dal comune di Roma e che porta la firma di un architetto donna, Scusate se esisto racconta uno spaccato dell’Italia di oggi. Lo fa in controcorrente: partendo non dalla storia di un cervello in fuga; ma di uno in ritorno in un paese che, come ci ha detto la stessa Paola Cortellesi, non è in grado di ricambiare il suo amore.

Abbiamo incontrato la fantastica attrice al Courthouse Hotel di Londra in una mattinata umida e piovosa, proprio come quella raccontata dal suo personaggio all’inizio del film. Onestamente è davvero difficile definire la Cortellesi semplicemente con la parola attrice perché, in realtà, abbiamo il piacere di avere con noi sul divano della hall un rarissimo esempio di Artista italiano; sì di quelli con la A maiuscola. Ci sediamo ed è lei a iniziare l’intervista chiedendomi da quanti anni sono a Londra. Le bastano le poche parole che uso per rispondere perché lei riesca a indovinare la mia provenienza geografica; proprio da quella Cuneo su cui, nel 2011, aveva inventato una cover della canzone Empire State of Mind di Alicia Keys per un duetto con Claudio Bisio a Zeling (la potete ascoltare qui). Si accorge di essere quasi lei ad intervistare me: “Scusa, è che sto cercando di imparare a riconoscere gli accenti delle persone che ho davanti. L’ho capito dal modo in cui hai pronunciato Londra”. Poco dopo iniziamo a parlare del film, anche perché il tempo a disposizione è poco e le cose da dire molte.

“Partiamo proprio dalla scena che sicuramente è quella più legata al contesto in cui ci troviamo. Il tuo personaggio entra in ufficio e annuncia di aver deciso di tornare in Italia e..”

“…e tutti la guardano come se fosse un marziano. Lì a Londra aveva un lavoro che era assolutamente proporzionato alla sua preparazione. Immaginiamo fosse decisamente ben retribuita (poteva permettersi un appartamento tutto per sè in centro a Londra, altro che se lo immaginiamo, ndr) e, soprattutto, svolgeva il lavoro per cui aveva studiato. Prende questa scelta che si rivela poco fortunata e decide di tornare in un paese che non ricambia il suo amore allo stesso modo e si ritrova a fare un lavoro come tanti (la cameriera in un ristorante) nemmeno lontanamente proporzionabile alla sua grande preparazione. Quando abbiamo scritto questa sceneggiatura ci siamo chiesti: ma perché, persone che hanno ottenuto determinate soddisfazioni lavorative all’estero, decidono di tornare? Bene, la risposta non ce l’abbiamo. Nessuno è riuscito a darci un perché. Forse perché siamo legati al nostro paese. Noi abbiamo voluto raccontare di un cervello in ritorno nonostante il nostro sia decisamente più un paese di cervelli in fuga. Questo fa male perché è un paese che sforna grandi menti; ma che all’atto pratico poi non sa trattenerle e non sa offrire loro una possibilità di crescita. Ci piaceva raccontare proprio lo scontro con questa mentalità chiusa che non è caratteristica solo del nostro paese: anche negli Stati Uniti le donne sono decisamente sottopagate facendo lo stesso lavoro degli uomini. Forse, però, molte volte siamo proprio noi donne a darci certi limiti e tocca soprattutto a noi scardinare questa mentalità”.

“Questa però non è l’unica discriminazione di cui si parla…”

“No, in questo film ognuno finge di essere qualcuno che non è. Tutti interpretano un ruolo e questa è una cosa assolutamente attuale. Ognuno di noi, molto spesso, si trova a interpretare un ruolo: vuoi per compiacere gli altri, per non deludere le aspettative dei familiari, per tanti motivi. Allora qui ci siamo chiesti: quanto tempo sprechiamo nella vita per compiacere gli altri piuttosto che essere semplicemente noi stessi? Se ci guardiamo allo specchio, ognuno con i propri orientamenti sessuali, con i propri difetti, con il proprio lavoro,…siamo poi così brutti? Ed è una trappola in cui tutti cadiamo…e perdiamo così tanto tempo”.

“Però, quando Serena Bruno capisce che nemmeno fingendo di essere qualcun altro sarebbe riuscita ad ottenere ciò per cui stava lottando: una casa dignitosa per le persone di una zona periferica degradata, allora decide di calare la maschera”

“Questo è un altro aspetto che volevamo raccontare. La situazione delle periferie dove, crescendo in un luogo un po’ dimenticato, tra la micro criminalità e abbandonato a te stesso, finisci per credere di essere solo ciò che gli altri pensano di te; mentre se cresci in un luogo che è tuo ed è dignitoso, allora cresci con una coscienza civica e un po’ di responsabilità per ciò che è tuo e, automaticamente, anche per ciò che appartiene agli altri. Ti senti parte della collettività e questa è una cosa che a noi italiani molto spesso manca: sentirci parte di una collettività. Ricordiamo che le persone con cui abbiamo lavorato per raccontare questo spaccato di periferia sono gente del luogo, non attori. Bene, hanno lavorato con una serietà e una professionalità che molto spesso è difficile trovare tra i professionisti: perché hanno avuto la possibilità di dimostrare che valgono qualcosa.”

“Come avete scelto lo spazio da dare alla commedia piuttosto che all’analisi delle tematiche trattate?”

“Io sono un’amante della commedia all’italiana. Di quella vera: quella di Risi, Monicelli, Scola…hanno raccontato il dopoguerra in questo modo. Il prologo di questo film è un prologo drammatico: una donna che ha successo all’estero torna e non arriva a fine mese con lo stipendio. Se racconti questo, se racconti le liti che ci possono essere in una famiglia dove un padre scopre di essere omosessuale, se racconti le discriminazioni che può subire una donna sul posto di lavoro, se racconti la situazione tragica delle periferie in tono drammatico, vuol dire chiudere una saracinesca. La stessa cosa succederebbe decidendo di trattare solo uno di questi argomenti a fondo per tutto il tempo. Noi abbiamo deciso di scegliere il tono della commedia come traghetto attraverso argomenti indigesti per lasciare aperta una porta e lo abbiamo fatto con un motto: l’importante è che se ne parli”.

Il tempo è tiranno, si sà e i nostri gentilissimi e meravigliosi ospiti hanno davanti a loro una giornata ricca di impegni prima di salutare Londra; ma è proprio con questo motto che ora siamo qui a passarvi le loro parole. Non importa il tono con cui vengono affrontate le tematiche poco piacevoli che caratterizzano questa fuga giovanile all’estero e, come abbiamo visto, non solo questo proplema, l’importante è che non si smetta di parlarne ed è quello che qui abbiamo cercato di fare.

 

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