Ma negli anni che verranno, se mi vedrai ammutolire o piangere senza ragione, o mi sentirai lontano benché ti sia accanto, ricorda un nome e saprai dove mi trovo: Bradley James è Felix Sparks in The Liberator.

Il giorno dopo la Remembrance Sunday britannica e, pochi giorni prima del Veterans Day, abbiamo virtualmente incontrato (ancora una volta grazie Zoom) Bradley James, il protagonista, nei panni di Felix Sparks, della nuova serie evento di Netflix The Liberator (disponibile su Netflix dall’11 novembre).

Londra è al suo quinto giorno di lockdown e Bradley è attivo, ora più che mai, sui social (potete trovarlo su Instagram a questo link @bradleyjames ) dove tra live stories e pre-registrati touch-down in tour per la città con gli altri membri del cast, sta regalando un esempio concreto di quelli che sono gli insegnamenti più importanti che Felix Sparks ha cercato di donare alle generazioni a venire.

The Liberator è il primo lavoro in trioscope, un’inedita tecnica di animazione che, a differenza di quelle usate in precedenza, lascia che sia la bravura recitativa d’interpretazione ad avere un ruolo cardine; dando risalto alle espressioni facciali e ai dettagli…e in questo campo, sappiamo che il talento di Bradley James è indiscutibile, ce lo ha provato nella scena dell’ultima stagione de I Medici, in cui appare alla madre morente e, con un semplice sguardo e un sorriso appena accennato, s’impadronisce non solo della scena ma dell’intero episodio.

Non fatevi però ingannare, nonostante l’animazione, non avrete mai la sensazione di evadere in qualcosa di etereo. La storia che viene raccontata nella miniserie, ispirata dall’omonimo romanzo biografico di Alex Kershaw, è tragica e dolorosa e non vi è trucco o escamotage che possa farlo dimenticare.

The Liberator racconta la storia struggente e brutale di un battaglione unico del suo genere, i Thunderbirds, costituito da indiani, messicani, cowboys, … in un periodo in cui, in America, a indiani e messicani, era perfino vietato l’ingresso nei bar. Uomini uniti da un rapporto di cieca lealtà e di profonda amicizia costruiti dal capitano Felix Sparks (Bradley James). Un uomo che riuscì ad azzerare le differenze sociali guidando i suoi uomini attraverso i più crudeli scenari di guerra di cui l’America sia mai stata testimone; dall’Italia alla Germania, dalla straziante Anzio fino all’orrore del campo di Dachau.

Bradley James è seduto davanti a quello sfondo nero, apparentemente molto professionale (ma chissà cosa si nasconde dove l’occhio della videocamera non può arrivare), che abbiamo iniziato a conoscere dalle sue storie Instagram più recenti, in un tipico pomeriggio autunnale londinese, quelli che, a noi Italiani stanziati oltremanica, regala quel color grigio fumo di Londra alla nostra carnagione per cui gli amici amano tanto prenderci in giro durante le vacanze estive in patria.

C: Potresti parlarci un po’ del tuo personaggio? Qualcosa che non si trova tra le pagine del libro, qualcosa di personale che hai scoperto interpretando Felix?

B: Purtroppo non c’è nulla che io abbia potuto imparare su Felix che non sia nel libro. Non avendo avuto l’opportunità di parlare con lui direttamente (Felix Sparks è mancato nel 2007, ndr); ma la base del lavoro è stata proprio questa: rendergli giustizia estrapolando da quelle pagine più informazioni possibili, anche quelle più nascoste tra le righe di quelle pagine meravigliose.

C: Conoscevi o avevi avuto occasione di leggere il libro prima di ricevere la sceneggiatura?

B: No, prima ho ricevuto la sceneggiatura e poi ho letto il libro. Dall’attimo in cui l’ho aperto, però, non ho più potuto posarlo. E’ stata la mia Bibbia per settimane, anzi, per mesi. L’ho letto tutto d’un fiato e ho cercato di trarne il maggior beneficio possibile. Inoltre, è un ottimo libro perché riesce a darti un’idea molto chiara e precisa delle persone che hanno “scritto” questa storia.

C: La storia è ambientata in un periodo storico ben conosciuto dai più, un periodo storico nel quale, non solo sono stati ambientati più e più film; ma che siamo abituati a studiare approfonditamente nelle aule scolastiche. Leggendo la storia di Felix, c’è stato un passaggio, un momento, un ricordo,… che ha cambiato il tuo punto di vista o una tua convinzione, il tuo pensiero, su quel determinato periodo?

B: Credo che a un pubblico mondiale non sia mai stata esposta una storia come questa: il ruolo nell’esercito delle minoranze americane nel 1940. Questo, ad esempio, è un particolare di cui non ero completamente a conoscenza. Pensiamo ad esempio ai numeri, i numeri non erano particolarmente alti; ma ci sono delle storie, alcune davvero molto toccanti, come l’esperienza di quest’uomo che si è trovato con un gruppo di messicano-statunitensi, indio-americani, … il battaglione che nessuno voleva; mi sono reso conto di quanto questa storia fosse affascinante. La Second Guerra Mondiale è un argomento ampiamente trattato; ma che non mette mai il focus suoi soggetti e sulle loro storie. Lo stesso Felix ha una storia bellica unica e straordinaria di per sé. La combinazione di questi due aspetti e del sacrificio di cui questi uomini sono stati protagonisti credo meritasse la giusta attenzione in questo periodo. Dobbiamo sopportare un leggero disagio per un giorno o una settimana e ci sembra qualcosa che debba segnarci e durare per sempre; ma questi ragazzi vivevano nella sofferenza per anni, costantemente sotto attacco, in situazioni di vita oltre il limite della sopportazione, al gelo o affamati a difendere la loro vita minuto dopo minuto. Non ho mai apprezzato tutto ciò che hanno fatto con la stessa consapevolezza con cui posso esserne grato ora. Quel periodo è come incartato in una bolla per cui è davvero difficile, per noi, riuscire a capire fino in fondo cosa abbiano davvero vissuto o provato. Penso che ti faccia anche realizzare quanto siamo privilegiati, anche nelle cose più semplici e per noi insignificanti, in confronto a quanto lo fossero in quel periodo. Quanto siamo fortunati non solo come individui, ma anche a livello globale come società. Ironicamente ci lamentiamo molto di più noi di quanto facessero loro in quegli anni, perché abbiamo il privilegio di poterlo fare.

C: Ti hanno fatto provare quelle sensazioni sul set?

B: Qui è dove iniziano i compiti a casa, Cristina. Girando in questa modalità, alla fine della giornata, c’era una comoda stanza d’albergo, un bagno caldo e un letto confortevole ad aspettarmi; così come, al mattino, un’abbondante e piacevole colazione. Sei tu, quindi, ad avere il delicato compito di capire qual è la realtà sensoriale di trovarti nella situazione della scena che devi girare e renderla realistica. Ti trovi in uno studio in cui ci sono le luci e quasi 30 gradi a girare una scena ambientata nella gelida neve invernale e devi ricreare la reazione sensoriale del tuo corpo al contatto con la neve e con l’aria gelida nonostante il calore dello studio; o, nonostante tu abbia appena mangiato una situazione in cui non mangi da giorni,… quindi sì, ho dovuto lavorare molto di più su questo aspetto di quanto avrei fatto girando in luoghi in cui sta davvero piovendo, in cui il clima è gelido, in cui sei in qualche modo a disagio. Nessun compito però è stato un peso, ho amato ogni singolo attimo di questa produzione.

C: Posso immaginare. The Liberator è, essenzialmente, una storia che parla dei forti legami che possono unire gli esseri umani provenienti da mondi agli antipodi tra loro. Qualcosa che abbiamo bisogno di riscoprire oggigiorno. Come avete costruito il legame tra voi in fase di pre-produzione e poi sul set?

B: Ho iniziato a lavorare 4 mesi prima di andare sul set, quindi ho avuto tutto il tempo necessario per capire che cosa sarebbe servito per costruire quel tipo di legame di cui avevamo bisogno. Man mano che le persone entravano a far parte del progetto, le contattavo e iniziavo a costruire una connessione, da qui, parlando con loro prima di incontrarli personalmente. Onestamente non vedevo l’ora di poter lavorare con loro così, quando siamo arrivati sul set, avevo costruito un legame personale con ognuno di loro attraverso messaggi, telefonate, …e questo ha davvero aiutato, anche perché, a loro volta, ognuno di loro aveva costruito il proprio legame con gli altri membri del team. Penso che, per esempio, quando metti un gruppo di veterani in una stanza e iniziano a parlare della loro esperienza, anche se non si sono mai visti prima, si crea immediatamente un legame; un legame che nasce dalla condivisione di ciò che hanno vissuto. Ora, noi stavamo girando una serie televisiva, non stavamo affrontando nessuna situazione estrema; ma c’erano molte cose che stavano succedendo, tanto materiale di quella storia da condividere, soprattutto nel caso di Martin Sensmeier e di Jose Miguel Vasquez che avevano l’opportunità di raccontare la storia delle loro comunità, storie che non sono state ancora raccontate. Per me, la chiave, è stata far sapere a tutti che, in caso di bisogno, io ci sarei stato. Non credo che questo accada molto frequentemente sui set.

C: Stavi parlando di questo nuovo punto di vista da cui viene raccontata la storia e stavo pensando a quante volte ci viene ripetuto dalle generazioni precedenti che abbiamo il dovere di ricordare, così che quello che è stato non possa accadere di nuovo. Soprattutto ora, con quello che sta succedendo negli Stati Uniti, nonostante il lieve raggio di luce che sembra vedersi dal 3 novembre con l’elezione di Biden alla presidenza, quanto credi sia importante raccontare la storia di queste minoranze usate dal governo americano in periodi come la Seconda Guerra Mondiale?

B: Lo sfondo politico è cambiato notevolmente negli ultimi giorni, come ben sappiamo. Penso che ci sia un desiderio, o, meglio, ci sia stato il desiderio di ascoltare storie in cui comunità diverse si uniscono e lavorano insieme. C’è uno spirito di umanità, che è in ognuno di noi e questo spirito è uno dei pilastri portanti di The Liberator. Oggigiorno, ci sono ancora segni di alcuni trattamenti nei confronti di alcuni tipi di persone; ma penso ci sia anche una gran quantità di persone che sono stufe di questa situazione. Penso che storie come The Liberator metta in evidenza il buono che può derivare da questa unione, da questi legami. Abbiamo ancora molta strada da percorrere davanti a noi, non credo che le cose possano cambiare nell’arco di una notte, ma è un inizio per credere che tutto andrà bene.

C: In un’intervista precedente hai dichiarato di esserti innamorato del personaggio di Felix a prima vista. C’è stato un momento preciso in cui è scoppiata la scintilla?

B: Sì, non sono sicuro che sia accaduto per una battuta in particolare però. Ci sono stati tre momenti, nella mia carriera, in cui ho ricevuto il copione e, in automatico, mi sono sentito in perfetta sintonia con il mio personaggio. (Sorride, come per mettere le mani avanti se mai dovesse sembrare arrogante nella risposta che sta formulando). Ok ora devo fare molta attenzione a come formulerò il prossimo concetto…dunque… in tutti e tre i casi, i personaggi, erano dei veri e propri leader. Che io abbia quella caratteristica innata nel mio essere o che siano solo le persone che mi camminano a fianco nella vita a vedere questa qualità, ciò che so è che riesco a entrare immediatamente in sintonia con questo tipo di ruoli e a sentirli miei. Non posso dire che io, in quanto Bradley, abbia le qualità di un leader, ma quello che posso dire è che, nel leggere le sceneggiature di questi personaggi, riesco ad avere una comprensione totale di come interpretarli. Nel caso del personaggio di Felix, penso ci sia molto da ammirare e probabilmente alcune volte sono riuscito a rendere giustizia a questo suo essere leader, altre volte forse un po’ meno; ma l’ho compreso nella sua interezza e credo che questo sia il modo migliore per spiegare com’è nato questo colpo di fulmine con il personaggio.

C: Quindi sei un po’ geloso che Daniel (Sharman, ndr) abbia ottenuto la parte del leader ne I Medici…

B: Oh no, assolutamente, anzi penso che lui abbia ottenuto una delle parti peggiori. Lorenzo passa tutto il tempo a parlare di banche, non ha conversazioni interessanti, è tutto un gne gne gne…Giuliano (e stressa con particolare impeto il nome del suo personaggio) è quello che attrae le donne, quello che si diverte…interpretare Giuliano è stato puro divertimento quindi probabilmente era Daniel a essere geloso di quanto potevo divertirmi sul set nell’interpretare il mio personaggio mentre lui doveva studiare tutte queste battute sulle banche, i prezzi della merce, etc…C’era un unico ruolo divertente in quella serie e io l’ho ottenuto.

C: Ricordo la sera in cui vidi Sin City al cinema, … ovviamente in quel caso gli effetti hanno aggiunto qualcosa a un film dalla trama molto povera. Nel caso invece di The Liberator, cosa può aggiungere il trioscope?

B: Le persone che lavorano con il trioscope hanno un modo di lavorare che è perfetto per gli attori. Il team è stato straordinario. Quando abbiamo finito la fase di produzione e siamo andati in post produzione, mi hanno reso partecipe di ogni passaggio, così ho avuto l’opportunità di vedere il girato prima degli effetti in trioscope. Ero sbalordito e orgoglioso del risultato ottenuto. Era come guardare uno spettacolo teatrale; c’era blu ovunque (il background per lavorare in trioscope è blu invece di verde, ndr), il trucco era ancora accentuato perché poi c’era da lavoraci con i computer, non c’era la colonna sonora e nonostante questo… funzionava, funzionava alla grande. Ero felice perché il trioscope può colpire l’occhio, ma se non c’è una storia a catturare il cuore, beh… C’è bisogno di una Storia e a quel punto non ha importanza che sia in trioscope o che sia uno spettacolo teatrale, le persone andranno ad “ascoltarla” comunque. Se hai la possibilità di avere una storia che vale la pena raccontare e ascoltare e in più hai la possibilità di raccontarla dando qualcosa in più a livello visivo, qualcosa di innovativo che il pubblico non ha ancora visto come il trioscope e un cast di attori talentuosi, (io mi escludo, parlo del resto del cast che con il loro talento ha illuminato la mia interpretazione), allora hai qualcosa di speciale.

C: Hai detto che se potessi parlare con Felix, ti piacerebbe chiedergli di Anzio. Che cosa ti ha colpito di quel particolare periodo della sua vita?

B: Anzio… il secondo episodio è intitolato “Una sola parola: Anzio” e mi sono aggrappato a quelle parole perché in questo episodio c’è l’essenza di Felix. I veterani parlano spesso di quel momento o di quella battaglia che darà loro la caccia negli anni a venire, quell’attimo o quel luogo che li porterà ad essere fisicamente in un luogo ma mentalmente a chilometri di distanza da esso. Man mano che giravamo, mi sono reso conto che qualsiasi cosa fosse accaduta a quell’uomo da quel momento in poi, ci sarebbe stato sempre un attimo in cui improvvisamente sarebbe tornato con la mente ad Anzio. E’ stato questo ad affascinarmi. La portata drammatica di quell’esperienza. Non sentiamo parlare molto spesso delle campagna in Italia, perché non è stata la gloriosa vittoria che vogliamo le nuove generazioni ricordino, che vediamo nei film. La campagna in Italia porta con sé un elevato numero di perdite e non è una gloriosa storia da raccontare.

C: Sai che Anzio non è così lontana da Roma…magari la prossima volta che verrai in Italia …

B: Lo so, ho passato molto tempo a Roma e non avevo idea…se dovessi tornare in Italia per un lungo periodo, se dovessi avere il piacere di poter lavorare nuovamente in Italia , mi ritaglierò un piccolo spazio per scoprire Anzio.

Anziati siete avvertiti….

C: Come passerai questo lockdown? Credi sia diverso dal primo?

B: Sono state due settimane ricche di impegni e amo essere impegnato. Penso che ci sia un’atmosfera diversa in questo lockdown in confronto al precedente. Durante il primo le persone avevano paura di cosa poteva succedere loro nel caso di contagio. Questa volta, essendoci un po’ più di informazioni sul Covid-19, un minor numero di persone ha quella paura quindi, per esempio, l’altro giorno, andando al supermarket, mi sono reso conto che non sembrava che stessimo andando in lockdown…quindi sono ancora un po’ confuso su come verrà vissuto.

Dopo aver parlato di come entrambi ci siamo sentiti degli extra-terresti arrivando a Londra nei primi mesi della pandemia, dall’Italia nel mio caso e da Los Angeles nel suo, nell’essere gli unici ad indossare la mascherina quando in Gran Bretagna nessuno ne faceva ancora uso; dopo esserci persi tra alcune grandi passioni in comune come il football, il calcio e soprattutto il fantacalcio, il suo telefono lo ha avvertito che era arrivata l’ora di salutarci perché un’altra intervista lo attendeva prima di una diretta Instagram; ma speriamo di avere presto l’onore di farci raccontare un nuovo emozionante progetto, chissà, magari proprio in Italia.

The Liberator è disponibile a livello mondiale su Netflix dall’ 11 novembre e, se non siete sicuri di aver esaurito tutta la filmografia di Bradley James o, se volete essere certi di non perdervi il suo prossimo lavoro, tenete d’occhio la sua pagina su IMDb.

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