John Reardon: “Il rischio è l’anima delle storie”. Intervista esclusiva dal Festival de la Télévision di Montecarlo

Al Festival de la Télévision di Montecarlo, tra le personalità più attese, c’era anche John Reardon, attore canadese noto al pubblico internazionale per la serie Hudson & Rex. Quest’anno il suo ruolo è stato diverso dal solito: non davanti alla macchina da presa, ma all’interno della giuria chiamata a valutare le produzioni provenienti da tutto il mondo. Reardon racconta con entusiasmo quanto sia stato onorato di far parte di un gruppo di professionisti che ammira da tempo e quanto questa esperienza gli abbia permesso di crescere, di confrontarsi con sensibilità differenti e di aprirsi a prospettive nuove sul modo di leggere la televisione. Spiega che, da attore, il suo giudizio nasce inevitabilmente dall’istinto, dall’emozione che un’opera suscita, ma che durante i lavori della giuria ha trovato naturale unire questa sensibilità personale ai criteri condivisi con gli altri giurati, così da dare struttura a discussioni che alla fine si basavano soprattutto sul sentire immediato. Racconta anche come non sia difficile mettere da parte il gusto individuale, perché ciò che lo interessa davvero è il motivo per cui una storia viene raccontata: se vuole intrattenere, denunciare, far riflettere o semplicemente celebrare la scrittura e la recitazione, ogni progetto ha un valore diverso e in quel valore risiede la chiave del giudizio. Osservando le opere in concorso, Reardon ha notato una tendenza ricorrente, quella di basarsi su storie vere ma raccontate da prospettive nuove, quasi a confermare che oggi il pubblico desideri sempre più realtà, ma filtrata attraverso sguardi originali. È proprio qui che individua l’importanza di un festival come quello di Montecarlo, capace di riunire opere provenienti da paesi diversi, di mostrare differenze e somiglianze culturali e di ricordare, attraverso l’arte, quanto alla fine gli esseri umani siano simili. Quando gli chiediamo se preferisca il cinema o la televisione, sorride e dice che non potrebbe scegliere: ama il cinema per la compattezza e l’intensità di un racconto che si consuma in poche ore, ma ama le serie perché accompagnano nel tempo, diventano una capsula che riflette i cambiamenti della società stagione dopo stagione. Anche nella scelta di un progetto da interpretare segue un percorso personale: si interroga sempre sul perché una storia debba essere raccontata, su chi saranno i compagni di viaggio e sulla possibilità di lavorare con persone capaci di ispirarlo. Certo, la scrittura e la qualità della sceneggiatura sono fondamentali, ma spesso, ammette con un sorriso, è anche una questione di istinto o, semplicemente, di necessità di lavorare. Per lui il rischio resta però l’elemento decisivo: senza rischi non ci può essere innovazione e in un’epoca in cui le idee vengono continuamente riciclate ciò che affascina davvero è la possibilità di vedere il nuovo, anche se nasce da un concetto antico rielaborato in modo diverso. Inevitabile infine una riflessione sull’intelligenza artificiale, tema che attraversa oggi anche il mondo dello spettacolo. Reardon lo considera uno strumento potente e inevitabile, un progresso che non va fermato ma gestito con responsabilità, affinché non si perda mai il fattore umano che rende l’arte viva e universale. E con ironia aggiunge che, per ora, non siamo ancora a Terminator – Judgment Day, quindi vale la pena rimanere ottimisti. Nel suo racconto emerge un uomo curioso, aperto al confronto e capace di guardare al futuro senza dimenticare l’essenza del suo mestiere: la voglia di correre rischi, di innovare e di creare legami autentici attraverso le storie.

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