La maggior parte di voi, lo conosce come Helsinki: l’omone dall’animo gentile de La Casa di Carta; ma Darko Peric, negli ultimi due anni si è scrollato di dosso la serie Netflix ed ha costruito un forte legame con l’Italia. Dopo essere stato ospite, nel giugno del 2021, dell’AmiCorti Film Festival di Peveragno (dove ha iniziato a parlare di una collaborazione con Zucchero Fornaciari), ha girato in Italia due film, uno dei quali in uscita domani in tutte le sale italiane.
La Prima Regola, è un film diretto da Massimiliano D’Epiro, racconta uno scorcio del periodo storico che stiamo vivendo: un liceo suburbano, strutture, studenti e docenti sono lo specchio esemplare di una depressione sociale ed economica che sembra irreversibile. A peggiorare le cose, a pochi metri dalla scuola, tra le case del quartiere, c’è lo “Zoo“, un centro di assistenza per migranti che è diventato un campo profughi permanente nel corso degli anni. Un professore è chiamato a tenere un corso di recupero per sei studenti sospesi per motivi disciplinari. Si incontrano ogni pomeriggio, quando fuori è già buio, all’interno di un’aula in periferia dove, dopo l’iniziale ostilità e sfiducia, il professore riesce a conquistare la fiducia dei ragazzi e a ottenere risultati sorprendenti. Ma quando scoppiano scontri tra la popolazione e i migranti, la situazione sfugge rapidamente di mano. La città è invasa dai militari, dai giornalisti, dai manifestanti. La tensione cresce. Escono tutte le contraddizioni di una società lasciata a se stessa. In questo quadro desolante, i conflitti che si sviluppano nella scuola e nella mente degli studenti esplodono tragicamente.
Al fianco di Darko Peric (Milan) troviamo Marius Bizau (Dietro la notte, Romanzo Familiare), Luca Chikovani (House of Gucci, Happy as Lazzaro, Un passo dal cielo), Antonia Fotaras (Il silenzio grande, Luna Nera, The Name of the Rose), Fabrizio Ferracane (Il Re, The Girl from Tomorrow, L’Ora – Inchiostro contro biombo, The Inner Cage) e Haroun Fall (Zero).
Noi lo abbiamo incontrato al 61º Montecarlo Television Festival dove ci ha parlato della sua esperienza italiana davanti a un bicchiere di bianco, in un mix di italiano e spagnolo.
D: Che bello vederti finalmente in viso. Lo scorso anno avevamo tutti le mascherine, ora è bello vedere quegli occhi conosciuti l’estate scorsa potendoli associare a un bel sorriso. Quest’anno è tutto fantastico, si respira un’aria magica degna di questa location meravigliosa.
C: Come stai vivendo questa prima esperienza qui come giurato?
D: Bene. Abbiamo appena inviato la nostra decisione all’organizzazione; proprio prima di presentarmi qui alle interviste e sono molto soddisfatto del lavoro che abbiamo fatto.
C: Come membro di una giuria, che cosa cerca all’interno di una serie televisiva?
D: Per quanto mi riguarda, sono tre le cose su cui mi concentro: una buona sceneggiatura, senza quella non funziona nulla. Puoi avere un budget infinito, ma se la sceneggiatura fa schifo, il tuo lavoro farà comunque schifo. Poi ci sono cinematografia-fotografia e montaggio in un unico blocco. Ogni paese ha la sua fotografia che definisce i suoi prodotti: c’è una fotografia italiana, una fotografia francese, una fotografia spagnola, una fotografia scandinava e così via ma è uno degli aspetti più importanti per definire una produzione televisiva. E infine, ma non per questo meno importante, c’è l’interpretazione. Queste per me sono le tre cose più importanti. Ovviamente poi ci sono tante altre cose: le scenografie, la musica, … ma sceneggiatura, realizzazione (che comprende scenografia, montaggio e fotografia) e interpretazione sono i tre, per me, più importanti.
C: Senza spoilelarci nulla, c’ è qualcosa in gara che l’ha lasciata basita?
D: Sì, c’è. Bisogna comunque considerare che io lavoro nelle serie televisive ma non guardo molte serie. Quindi avere l’opportunità di vedere serie danesi, norvegesi oltre che, ovviamente, americane e inglesi è stata una magnifica opportunità. Alla fine abbiamo deciso per una sceneggiatura davvero molto molto interessante per ciò che riguarda i film (il premio è andato al tedesco Martha Libermann come miglior film e all’inglese The Tourist come miglior serie, ndr)
C: Prima mi ha detto: “quando si parla di serie televisive ovviamente ci sono gli americani”; però, negli ultimi anni, gli spagnoli non si sono fatti mancare nulla…
D: Vero,… io l’ho sempre detto. Mi piace sempre raccontare questa storia sul mio rapporto con i prodotti americani. Negli anni ‘90, il mio paese, la Jugoslavia, era in guerra; una guerra catastrofica. Però, mi ricordo che quando è iniziata la guerra, io avevo 14/15 anni, era uscito al cinema il film di Bruce Willis, Die Hard. Io ho sempre definito questo genere di film che fanno gli americani, i film di invasione: Vietnam, Jugoslavia, Iraq, adesso Siria, Afghanistan,…comunque, tornando a Die Hard. Alla fine degli anni ‘80 la Jugoslavia produceva moltissime auto sotto licenza della FIAT e nel mio paese producevano un’auto che si chiamava Yugo Florida che era diventata una delle auto più vendute negli Stati Uniti. E c’è una scena, in Die Hard, in cui Bruce Willis è alla guida di una Yugo che si rompe. Lui chiama il servizio clienti e dall’altro capo del telefono rispondono dei serbi, introdotti in una scena simile a quella in cui oggi rappresentano i terroristi, i talebani. Io avevo 15 anni e da quel momento ho smesso di guardare qualsiasi prodotto a stelle e strisce; guardavo solo più i film di Tarantino. Così, andando alla ricerca di film provenienti da altri paesi, ho scoperto registi che raccontavano storie meravigliose, lontane anni luce dai film patriottistici d’invasione. Ho scoperto Danny Boyle e il suo Trainspotting, Pedro Almodovar, Giuseppe Tornatore con il suo straordinario Cinema Paradiso, … e mi si è aperto un altro mondo. Ero un bambino, anzi un teenager che come tutti i ragazzi europei della sua età, aveva conosciuto solo il cinema americano. Tu sei più giovane però correggimi se sbaglio…ti ricordi quando avevi 15 anni cosa ti proponevano i canali tv…
C: Hai ragione, siamo cresciuti con i prodotti americani…
D: A me, invece, in quel momento, si è aperto il mondo europeo e ne ho visto il valore, sapevo che prima o poi si sarebbe fatto strada, e le piattaforme hanno reso possibile tutto questo. Ne parlavo proprio con Benicio Del Toro mentre lavoravo con lui. E poi, dopo la Spagna e l’Italia è arrivato l’amore per il film francese. Ma la grande rivelazione è stato Luis Bonuel, il mio film preferito è Belle de Jour. Io credo che le coincidenze non esistano, nulla accade per caso e quello che ha fatto Pedro Almodovar 30 anni fa, il saper diventare internazionale, accidenti quanto sono vecchio, beh quello che lui ha fatto 30 anni fa, La Casa di Carta lo ha fatto cinque anni fa. Adesso con Netflix tutto il mondo ti scopre, non solo chi come me cercava un’alternativa alla televisione americana di proposito. Più invecchio, più mi rendo conto che l’America non è poi così interessante. Ci sono così tanti bei prodotti in Spagna, in Italia, in Francia,…grazie alla capacità di interpretazione dei loro attori e grazie al loro preziosissimo bagaglio culturale.
C: Che cosa ci può raccontare dei suoi progetti italiani?
D: Ho fatto due film in Italia e sono super contento. Sono davvero contentissimo. Ho fatto un film con il regista Berardo Carboni (Greta e le favole vere, in uscita il 31 dicembre con Raul Bova, Sabrina Impacciatore, Donatella Finocchiaro e Federico Cesari) pazzo come tutti i registi ma una persona davvero meravigliosa e poi ho scoperto Bari, la bellissima Puglia e mi sono innamorato grazie a Massimiliano D’Epiro e a una sceneggiatura fantastica. A fine novembre girerò un altro film in Italia, questa volta in Calabria, un’opera prima di un giovane regista con una leggenda del cinema italiano come attore protagonista e sono entusista ma non posso dire nulla di più.”
C: L’abbiamo adottata…
D: E io non potrei esserne più felice.