“Le cose che non sappiamo ma che crediamo di sapere sono quelle che ci rovinano l’esistenza”: l’Otello di Giorgio Pasotti scava nell’animo umano dove ciò che crediamo di sapere diventa la nostra rovina.

Le luci si spengono quando il manto della notte inizia ad avvolgere il pubblico del Teatro Romano di Verona; ma non è solo la notte a calare: è l’ombra profonda della gelosia, della manipolazione, dell’egoismo, del potere cieco che diventa violenza…nei confronti della donna; ma anche del diverso.

L’Otello in scena in occasione della rassegna Estate Teatrale Veronese, è un’intensa rilettura del capolavoro shakespeariano di cui Giorgio Pasotti firma una regia moderna, essenziale e potentemente emotiva, supportato da una drammaturgia firmata da Dacia Maraini, che imprime allo spettacolo un taglio attualissimo e urgente.

Iago diventa un personaggio in secondo piano, abile nel tirare le fila di una tragedia che, prima o poi, si sarebbe comunque consumata; Pasotti lo rende un freddo calcolatore, dal tono di voce così pacato da diventare presto inquietante. Sono Desdemona e il suo Otello ad occupare il centro del palcoscenico; sono la loro passione e i loro sentimenti dirompenti a riempire la scena. Otello, così sicuro di sé, in bilico tra amore e insicurezza, tra passione e timore di non bastare; un Otello a cui Giacomo Giorgio riesce a restituire tutta la fragilità di un personaggio che, per troppo orgoglio, cede al dubbio e alla tragedia. Giorgio restituisce il volto fragile di un uomo lacerato dall’incertezza, smarrito tra ombre e silenzi, incapace di separare la verità dal veleno dell’inganno. Le voci nella sua mente diventano tempesta. Quando uccide Desdemona, non è solo per punire, ma perché non sa più come abitare il proprio dolore. Non ascolta, non accoglie. Chiude ogni varco e, nel farlo, soffoca una voce, spegne una luce, cancella una vita. Un Otello in cui non è il seme della gelosia; ma quello della pazzia a vincere su ogni altra emozione o sentimento. Otello che è anche il diverso, quel ragazzo dalla pelle troppo scura per essere considerato veneziano; ma che “parla veneziano meglio di tanti altri che si spacciano per tali”. Al suo fianco, Desdemona, la dolcezza e il coraggio di una donna vittima di un sistema brutale e maschile interpretata magistralmente da Claudia Tosoni.

I costumi atemporali e la scenografia scarna ma evocativa contribuiscono a rendere lo spettacolo sospeso in un tempo indefinito, come a sottolineare che la tragedia di Otello potrebbe accadere ovunque e oggi. La regia rifiuta l’enfasi, puntando su sguardi, silenzi e tensioni che parlano più delle parole stesse. Sul palco si alternano interpreti dal talento ormai consolidato, capaci di dare corpo e voce ai loro personaggi con intensità e misura: Davide Paganini è Roderigo, l’incarnazione del possesso; Gerardo Maffei è Brabanzio, rappresentazione della società arcaica e della paura del diverso; Andrea Papale è Cassio, la speranza nel genere maschile che sempre più a gran voce si sta schierando perché le prime pagine dei giornali possano finalmente cambiare; e poi c’è Dalia Aly, Emilia…lei che subisce il controllo di Iago ma che alla fine decide che è arrivato il momento di parlare, che non ha più voglia di stare zitta come vorrebbe la società. La pennellata conclusiva è Salvatore Rancatore nei panni di un Doge fuori dagli schemi che entra in scena per la prima volta cantando “I want to break free”, concentrato più sul suo aspetto che su ciò che gli accade attorno, con un linguaggio ricco di anglicismi per snobismo linguistico, specchio del potere e della società moderna.

Forse, allora,, il vero protagonista è lo specchio. C’è lo specchio concreto, verticale che Pasotti ha preso “in prestito” da “La Traviata degli Specchi” del 1992 dello scenografo Joseph Svoboda e che permette allo spettatore di entrare nella bidimensionalità della messa in scena; ma anche di rompere un’ulteriore tabù del teatro: far sì che l’attore possa dare le spalle al pubblico. Poi, c’è lo specchio astratto: Otello e Iago, il riflesso l’uno dell’altro, due facce di una stessa medaglia. I corpi delle due donne a terra, prive di vita e loro che si osservano a lungo; proprio come se fossero davanti al proprio riflesso.

Con questo allestimento, Pasotti e Maraini riportano Shakespeare tra le mani degli spettatori contemporanei, trasformando Otello in un dramma urgente sul femminicidio, sull’odio che cresce nell’ombra e sulla necessità di vedere oltre le maschere.

Entra il Doge, con il monopattino passa incurante tra i corpi inermi delle due donne, rompe la quarta parete e osserva il pubblico…siamo alla resa dei conti e con il suo essere fuori dagli schemi affonda il suo colpo da maestro, la sentenza finale che, si spera, inizierà a tormentare lo spettatore come le parole di Iago hanno fatto con Otello: “pensate davvero che questa storia non riguardi anche voi?” …il pubblico delle prime file vede il suo riflesso nello specchio verticale e il teatro che emoziona, ma soprattutto che interroga, stasera più che mai sta chiedendo: chi è davvero il nostro Iago?

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