“Otello secondo Pasotti”: quando il teatro riflette la realtà con gli occhi del cinema

Un palco illuminato da specchi e suggestioni, una messa in scena che dialoga con il presente e un testo immortale rivisitato attraverso la sensibilità di una grande autrice italiana. L’Otello, firmato da Dacia Maraini e diretto con audace originalità da Giorgio Pasotti, è più di una semplice trasposizione teatrale: è un grido civile, un invito alla riflessione, una chiamata alla responsabilità collettiva.

Dietro questa potente rilettura shakespeariana si cela un’urgenza contemporanea: quella di raccontare, ancora una volta, la violenza contro le donne e contro il diverso. “È un tema purtroppo attualissimo, che ogni giorno ci sbatte in faccia la sua tragica persistenza”, racconta il regista. “E proprio per questo ho sentito il bisogno di attingere al Bardo, alle sue parole, per mostrare come, dopo cinquecento anni, certe dinamiche siano ancora drammaticamente attuali, anzi di come in realtà siano stati fatti addirittura dei passi indietro”.

Ma in questo Otello c’è un ribaltamento silenzioso e strategico: Iago, solitamente il burattinaio della tragedia, si ritira nell’ombra. “Non volevo giustificare l’omicidio di Desdemona attribuendolo all’inganno. Ho preferito mostrare Otello come un giovane uomo accecato da un’emozione ingestibile: la gelosia. Mi interessava analizzare il gesto folle di un ragazzo che ha un ruolo importante, ma che rimane un giovane che deve combattere anche contro i pregiudizi essendo un italiano di seconda generazione. Un ragazzo che deve portarsi dietro anche i retaggi di una cultura antica, non italiana, perché comunque gli appartengono. Per questo motivo ho certo di fare in modo che le canzoni, i costumi, le scenografie, fossero un pot-pourri di culture, che potessero richiamare quelle orientali, ma anche quelle occidentali, in modo che questa storia potesse essere il più universalmente comprensibile e il più universale possibile. E a emergere sono stati i sentimenti veri, le relazioni familiari, l’amicizia, l’amore. Quello che oggi ci tocca da vicino”.

Il risultato è un’opera teatrale che parla il linguaggio del cinema, grazie anche a scenografie evocative e scelte registiche intelligenti, come l’uso dello specchio scenico. “Non è una mia invenzione”, confessa con umiltà, “è stata usata ne La Traviata degli specchi dallo scenografo Joseph Svoboda; ma l’ho trovata perfetta per questa messa in scena: lo specchio rende visibili anche le emozioni più nascoste, moltiplica lo spazio, aggiunge dimensioni al racconto”.

Il Doge, simbolo di potere e indifferenza, entra in scena tra le risate per poi colpire il pubblico con parole “mostruose” e scomode. “Volevo che lo spettatore ridesse, certo, ma che poi si sentisse anche messo in discussione. Perché siamo tutti, in fondo, un po’ colpevoli di quello che succede. La famiglia, l’educazione: è lì che tutto ha origine. Non deve essere uno spettacolo di intrattenimento, ma deve essere un monito a tutti quelli che vivono quest’epoca, l’invito a fare qualcosa, ognuno per conto suo, ognuno nel suo piccolo. La cultura di appartenenza è fondamentale nella crescita e nella formazione di un individuo; al tempo stesso, l’educazione familiare non può prescindere e non può delegare nessun’altra istituzione, come, ad esempio, la scuola. Ci si deve prendere cura e carico soprattutto dell’educazione dei propri figli e bisogna domandarsi il perché di tutto questo malessere.”

La messa in scena non cerca di compiacere i puristi shakespeariani: al contrario, li sfida. “Certo, ho temuto la reazione di chi si aspettava il classico. Ma il teatro ha una responsabilità: deve formare il pubblico del futuro, soprattutto i giovani. E non lo farà se non saprà parlare il loro linguaggio e rispettare i loro tempi”. Per questo lo spettacolo è scandito da ritmi cinematografici, con costumi e musiche che fondono Oriente e Occidente in un melting pot culturale che travalica spazio e tempo.

A incarnare Otello è Giacomo Giorgio, giovane volto della TV, affiancato da un cast affiatato e fidato, capace di vivere la scena “sentendo la musica, abitandola, dando corpo a ogni gesto”. Un lavoro di gruppo meticoloso, che ha richiesto fatica, ma anche grande entusiasmo.

E per il futuro? “A settembre inizieranno le prove di un’opera lirica di cui sarò nuovamente regista, La Traviata, che debutterà al Teatro Coccia di Novara il 26 settembre. Ma la guida rimane sempre la stessa: mettere in scena solo ciò che io stesso vorrei vedere da spettatore”.

Infine, il regista rilancia una riflessione che va oltre il palcoscenico: “Per avvicinare i giovani al teatro dobbiamo cambiare abitudini, anche orarie. Spettacoli alle 19, come si fa all’estero, permetterebbero ai ragazzi di vivere il teatro senza rinunciare alla loro serata. E poi, inserire il teatro come materia scolastica obbligatoria: è cultura viva, e come tale va vissuta fin da piccoli”.

L’Otello di Giorgio Pasotti non è solo una tragedia riscritta. È un’opera civile, che guarda al futuro senza dimenticare il passato. Un invito, per tutti, a riflettere e, soprattutto, ad agire.

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