Julian Schnabel costruisce intorno al manoscritto della Divina Commedia una doppia linea narrativa: da un lato le anime dannate della New York degli anni ottanta del Novecento, irrefrenabile e sanguigna; dall’altro la Firenze del Trecento, spasmodica e politica in cui Dante si muove ferito e inquieto.
Schnabel lascia correre questi due mondi come due parallele destinate a non incontrarsi mai: il medioevo e il presente diventano specchio l’uno dell’altro e rivelano un desiderio che li accomuna: la sete di potere assoluto.
Gli attori vivono entrambe le linee temporali come una reincarnazione continua attraversando la materia. C’è chi ha una pena da espiare, un senso di colpa che lo divora ma che allo stesso tempo fa crescere il suo desiderio di potere; la stessa colpa e la stessa sete che ha portato Dante all’esilio e alla stesura del manoscritto; e qui Dante non viene narrato come monumento della letteratura ma come uomo: fragile e smarrito nell’esilio in un unico vortice verso la conoscenza.
Se nel Novecento sono il bianco e il nero a farla da padroni; nel Trecento sono i colori i veri protagonisti: l’ocra della pergamena, il nero dell’inchiostro, il rosso del sangue diventano un affresco evocativo in un viaggio che non ha l’obbiettivo di confortare e rassicurare lo spettatore.
In the Hand of Dante non è un film sulla letteratura, ma su ciò che la porta ad essere guida umana oggi: cosa significa, per l’uomo moderno, confrontarsi con un testo che ha cercato di contenere l’intero universo umano? Il manoscritto è reliquia e maledizione: chi lo tocca deve confrontarsi con l’impossibilità di contenere il tutto.
Il cast internazionale rende il lavoro di Schnabel unico: Oscar Isaac è Dante Alighieri e il suo alter-ego Nick; Gal Gadot è Gemma Dinota e il suo alter-ego Giulietta, Louis Cancelmi è Guido Da Polenta e il suo alter-ego, Gerald Butler è Papa Bonificio e il suo alter-ego Lefty, Guido Caprino è Guido Cavalcanti. Al loro fianco John Malkovich, Sabrina Impacciatore, Franco Nero, Lorenzo Zurzolo, Martin Scorsese, Al Pacino, Jason Momoa e Claudio Santamaria.
Per Schnabel Dante diventa compagno e specchio, non statua e simbolo. In the Hand of Dante lascia lo spettatore con una mortificazione da portarsi dentro: la responsabilità di guardare l’abisso e di nominarlo e, quando lo schermo si spegne, è come se il capolavoro dantesco fosse davvero nelle nostre mani: fragile e incandescente.
📷: Andreas Rentz/Getty Images














