Vogliono convincerci che se nasci perdente non hai speranza; ma rinunciare al sogno è morire… e i protagonisti di Non Si Uccidono Così anche i Cavalli? sono disposti a tutto pur di non morire.
Tratto dall’omonimo romanzo del 1935 di Horace McCoy, per la regia di Giancarlo Fares, questo spettacolo ci mostra quello che è, in realtà, la maratona della vita raccontata attraverso una maratona di ballo. Ambientato durante la depressione californiana dei primi anni ’30, il romanzo è la storia di molte giovani coppie che decidevano di partecipare alle maratone di ballo non tanto per il premio in denaro, quanto più per avere vitto e alloggio assicurati per qualche giorno. Fares rilegge il tema principale attraverso uno sguardo moderno su quello che è oggi il mondo che ci circonda, quello dell’apparire, dove l’importante è esserci piuttosto che essere. Il regista trasforma magistralmente anche la povertà materiale originaria nella più attuale povertà d’animo.
Sul palco ritroviamo, fin da subito, le principali sfaccettature dell’animo umano: timido, onesto, sbruffone, arrivista, egoista… ma, con il passare dei minuti (in sala) o delle ore (sul tabellone della maratona) siamo costretti a rivedere le nostre prime impressioni. Dopo aver toccato il fondo dell’animo umano, compassione ed empatia cercheranno di riprendere in mano le redini del gioco ma sarà ormai troppo tardi.
I protagonisti di questa folle maratona portano in scena quelle che sono le ambizioni, i sogni e le speranze di tutti noi. Per prevalere, per coronare il sogno, non bisogna mai dimenticarsi che ognuno di noi, per rimanere in piedi, ha bisogno di restare aggrappato a un sogno. Se ne accorge troppo tardi Gloria (Sara Valerio), che ci racconta come il suo sogno fosse il suo compagno di ballo. A sorvegliare i ballerini, vi è Joe (Giuseppe Zeno) che, da buon burattinaio muove i fili dello spettacolo coinvolgendo il pubblico in sala e facendolo diventare parte integrante non solo dello show; ma anche di quella carovana di dolore che prosciuga i suoi protagonisti per poi cercare nuove vittime da mietere nella città successiva. Nella vita, però, spesso ci dimentichiamo di essere sia burattinai che burattini; criceti sulla ruota che gira e che, chi si ferma è perduto.
Nel mondo delle apparenze che ha preso il posto al mondo delle presenze, sempre più persone si affannano per raggiungere il successo accettando di essere sfruttati e cedendo a compromessi, svendendosi per ciò che spesso è solo un’illusione fino, in alcuni casi, a dimenticarsi di ciò che ci rende umani, perché la sfortuna di un altro può essere la propria fortuna. Anche il pubblico, alimentato dall’enigmatico Joe, diventa sempre più assetato di sofferenza e dolore.
Giuseppe Zeno, come Joe, è il burattinaio perfetto: coinvolge, convince e mostra tante sfaccettature della vittima carnefice che si nutre della disperazione degli altri per sopravvivere. Come Giuseppe, invece, interagisce con una piccolissima spettatrice in seconda fila nel secondo atto facendola sentire davvero speciale quando, durante i saluti, abbandona i suoi compagni di viaggio per recuperare un cappellino usato in scena per regalarglielo. Il corpo di ballo è semplicemente straordinario ed è inutile cercare di aggiungere altro perché qualsiasi aggettivo non saprebbe render loro giustizia. Così come non vi sono parole per lo straordinario lavoro dal vivo della Piji Electronic Project e per la loro musica originale, coronata da ottime cover, che si muove tra il jazz, lo swing e l’elettro-swing.
E per una sera, anche Torino, ha potuto strizzare l’occhio a Broadway regalandoci un po’ della sua magia…o illusione?