13 arriva all sua ultima stagione e ci verrebbe da aggiungere un per fortuna.
Sì, perché nonostante la battaglia sociale, anzi le battaglie, affrontate sin dalla prima stagione, la serie si ritrova a dover fare i conti con una scelta troppo ardua: affrontare i grandi problemi della società americana (cosa che fa in maniera eccellente nell’arco dell’intera durata) con un filo narrativo ormai esaurito.
Al suo debutto nel 2017, nella prima stagione tratta dal best seller di Jay Asher, 13 affronta un problema che riguarda, soprattutto nell’età adoloscenziale, non solo gli Stati Uniti, ma molti degli stati europei, Italia compresa: quello del suicido come soluzione dettata da gravi episodi di bullismo.
Il successo internazionale ottenuto dalla serie targata Netflix, convince la produzione a dar vita a una seconda stagione e così via, fino ad arrivare al quarto capitolo conclusivo.
Se, come abbiamo detto in precedenza, i contenuti della serie mantengono l’alto standard dell’esordio: bullismo, violenza sessuale, dipendenze, suicidio, sicurezza nelle scuole, facile acquisto di armi da fuoco, immigrazione dall’America Latina e l’attualissimo razzismo da parte della polizia nei confronti di determinate etnie; i suoi personaggi e la tela narrativa, non hanno più nulla da offrire allo spettatore sin dalla fine della seconda stagione.
Così, con il susseguirsi dei quattro cicli, 13 inizia a cambiare stile, perdendo lentamente il suo tratto distintivo e il format che lo avevano reso celebre.
Tutto era iniziato con 13 episodi: uno per ogni cassetta lasciata da Hannah Baker ( Katherine Langford, che rivedremo presto a fianco di Daniel Sharman nella serie originale Netflix, Cursed), con quella frase che risuonava nella testa di ogni fan: “Benvenuto nella tua cassetta”. Con la seconda stagione, erano arrivate le polaroid a scandire il tempo degli episodi. L’anno successivo, però, nonostante il susseguirsi delle testimonianze dei ragazzi al processo nei confronti di Bryce Walker (Justin Prentice, qui la nostra intervista), questa scansione temporale non era più così netta e lineare, arrivando a perdersi completamente nei 10 episodi da quasi un’ora ciascuno (il decimo dura un’ora e 40 minuti) dell’ultimo capitolo della serie. E non vi è tradimento peggiore, nei confronti di uno spettatore, di una serie che perde lentamente il suo tratto distintivo.
Mentre Clay Jensen (Dylan Minnette) affronta i demoni del passato affetto da una grave forma di dissociazione della personalità, il resto del gruppo cerca di convincere la polizia ad allontanare da ognuno di loro i sospetti per l’omicidio di Bryce, avvenuto nella stagione precedente, in un susseguirsi di azioni sempre più assurde e irreali. Il tutto mentre i fantasmi di Bryce e di Monty de la Cruz (Timothy Granaderos) continuano a tormentarli; sopratutto dopo l’arrivo alla Liberty High del fidanzato (Winston, interpretato da Deaken Bluman) e della sorella minore (Estela, Inde Navarrette) di Monty e l’introduzione di un terzo antagonista, un ex compagno di squadra di Monty e Bryce, Diego Torres (Jan Luis Castellanos). Spartendosi il ruolo, nessuno dei tre antagonisti, riuscirà mai a convincere lo spettatore di essere un vero e proprio pericolo per il gruppo centrale che, è proprio il caso di dirlo, seriamente “is getting away with murder”. Allo stesso tempo, però, il nuovo terzetto, riuscirà a mantenere vivo, nella mente del fruitore, il ricordo di quando 13 aveva degli Antagonisti con la A maiuscola. E’ molto probabile che anche Bryan Yorkey, ne fosse consapevole e che questo sia il motivo per cui abbia preso la decisione di tendere la mano ai fan, facendo tornare i veri villans sotto forma di “fantasmi/coscienza”.
Mentre i protagonisti si malleano in base ai personaggi con cui interagiscono, nessuno di loro è ormai credibile come studente. L’unica nota positiva in questo frangente, è la suspance creata dalla sequenza iniziale di alcuni episodi: siamo a un funerale, in ogni episodio una persona diversa prende la parola sul pulpito, a livello temporale siamo in un flashforward, sei mesi dopo gli eventi raccontati dalla narrazione di Ani (Grace Saif). Di chi sarà il funerale?
SPOILER
Siamo al funerale dell’unico personaggio della quarta stagione degno di nota, quello di Justin Foley (Brandon Flynn); l’unico in grado di catturare l’attenzione anche del più distratto spettatore e di fare emozionare, tra alti e bassi, nel bene e nel male, dal primo all’ultimo episodio della serie; stagione dopo stagione, errore dopo errore. L’unico personaggio a cui la sceneggiatura, in questo ultimo capitolo, riservi un po’ di giustizia. L’unico che, con il passare degli episodi, evolve concretamente raggiungendo la maturità necessaria per iniziare una nuova vita nel mondo degli adulti (se solo il destino glielo avesse permesso).
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Che dire?
(da leggere con in sottofondo le note di Half Light II by Arcade, scelta personalmente come colonna sonora dallo stesso Dylan Minnette aka Clay Jensen)
Congratulazioni classe del 2020, i protagonisti di 13 si sono finalmente diplomati!
E se doveste sentire la lora mancanza, le quattro stagioni di 13 Reasons Why sono disponibili su Netflix (qui la recensione della seconda stagione)
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